Piccola guida
per chiamare ogni cosa col proprio nome
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AMERICANA
L’americana è una particolare struttura utilizzata nell’allestimento scenico delle arti performative (concerti, rappresentazioni teatrali, balletti) che permette di sollevare l’apparato illuminotecnico rispetto al palcoscenico. Ad essa sono connessi sovente anche materiale acustico o scenografico. Capita quindi spesso che la struttura base sia congiunta con uno scatolato interno contenente cavi e prese di alimentazione e/o segnale per il materiale montato.
In genere, l’americana è costituita da una travatura reticolare di più elementi (detta traliccio, o meglio: elemento Truss), tipicamente di alluminio e montata su supporti mobili (motorizzati, ad argano o a paranco) aventi lo scopo di permetterne la movimentazione in senso verticale, cosa che conferisce quindi la possibilità di installare i componenti desiderati rimanendo a terra ed issandoli in un secondo momento. Nell’uso più comune, la travatura principale è disposta parallelamente al palcoscenico, per una lunghezza media di 10 m (difficilmente comunque sopra i 15 m). Si situa, solitamente, in prossimità del proscenio, che incornicia. Meno frequentemente viene posta in fondo al palcoscenico, incorniciando così il fondale, quando questo è presente e sostenendo l’illuminazione di controluce. Quando sono presenti più americane parallele, in genere vengono numerate dalla più esterna (verso il pubblico) alla più interna (es: prima, seconda, terza americana)
L’americana, per la relativa semplicità di montaggio e smontaggio, è utilizzata principalmente per quegli eventi che vengono allestiti all’aperto o in strutture solitamente non adibite ad uso spettacolo: i teatri o le sale da concerto sono più frequentemente dotati di una graticcia che sormonta il palcoscenico, sorretta da stangoni e fornita di impianto illuminotecnico, sonoro e meccanico.
L’installazione di americane è prescritta da normative di montaggio e sicurezza, pertanto dovrebbe essere eseguita solo ed esclusivamente da aziende abilitate a rilasciare certificazione
ARCO SCENICO
Oltre a separare il palcoscenico dalla platea, ossia la sala del teatro dal luogo di azione, l’arco scenico è un elemento architettonico che può assumere varie forme e può essere costruito con diversi materiali, generalmente in muratura. Oltre al fine ornamentale, l’arco scenico ha una costante di rilievo nell’acustica generale del teatro.
L’arco scenico del teatro di San Carlo Napoli
ATTO
Un atto è la suddivisione principale di pièce teatrale o di un’opera musicale. È la parte di un’opera drammaturgica separata dalla seguente da un intervallo o da un entracte durante il quale la scena lasciata vuota è riempita con un interludio estraneo all’azione scenica rappresentata negli atti.
Un atto è caratterizzato dall’unità di tempo e, in generale, dall’unità di luogo. Il cambiamento d’atto permette spesso all’autore di procedere a un’ellissi temporale o a un cambiamento di luogo e quindi di far progredire l’intreccio narrativo.
Due atti sono separati da un entracte, intervallo di breve durante il quale la rappresentazione teatrale si interrompe. Ciascun atto può essere, a sua volta, suddiviso in scene o in quadri (tableau in francese). Il passaggio da una scena all’altra corrisponde, in genere, all’entrata o all’uscita di un personaggio, mentre il passaggio da un quadro all’altro implica cambiamenti di scena (e dunque di fondale o, con termine più desueto, per l’appunto, “quadro”), oltre che di personaggi.
AGNIZIONE
L’agnizione (dal latino agnitio = riconoscimento) è un topos delle opere narrative o drammatiche. Consiste nell’improvviso e inaspettato riconoscimento dell’identità di un personaggio, che determina una svolta decisiva nella vicenda.
Anagnorisis (greco antico: ἀναγνώρισις) originariamente significava “riconoscimento” nel contesto greco antico, non solo in riferimento a una persona ma anche a ciò che quella persona rappresentava: l’agnizione era il momento in cui l’eroe aveva improvvisa consapevolezza della realtà.
È stata descritta da Aristotele nella sua Poetica come parte della discussione sulla peripéteia, ed è spesso associata al concetto di catarsi del filosofo.
Il caso classico è quello del personaggio che, al termine di una serie più o meno complessa di vicende, viene riconosciuto da altri o si autoriconosce nella sua vera identità; il riconoscimento può riguardare anche i modi e i tempi con cui il lettore scopre la verità, abilmente celata dallo scrittore. Il procedimento è tipico del romanzo giallo o avventuroso (cfr. il “colpo di scena”, la “scena madre”); ma anche in racconti psicologici lo scrittore può adottare un punto di vista che strutturalmente mette in ombra o tralascia alcuni fatti relativi a un personaggio e la cui conoscenza è ritardata ad arte.
La vicenda di Edipo può costituire l’emblema del riconoscimento nel senso più profondo del termine: l’eroe prende coscienza del suo vero essere al termine di una inquietante inchiesta, che si conclude con la catastrofe.
L’identificazione dell’eroe è peraltro una delle funzioni della fiaba di magia studiate da Vladimir Propp, a riprova del carattere topico e assai generalizzato di questo procedimento narrativo.
L’agnizione (in greco antico: ἁναγνώρισις) è un elemento della drammatizzazione teatrale della Grecia classica, quale espediente narrativo adottato dalla tragedia greca e, in seguito, dalla commedia nuova.
Dal teatro greco confluì, per imitazione di forme, nel teatro latino[2], venendo usata, soprattutto, nelle commedie palliate dell’antica Roma dai commediografi che volevano colpire positivamente il pubblico con un finale a sorpresa o per dirimere situazioni difficili o scabrose: per esempio Terenzio (in particolare nell’Heautontimorumenos, Andria, Phormio e Eunuchus) e Plauto (vedi Aulularia, Captivi, Casina, Cistellaria e Curculio) utilizzarono spesso questo espediente nelle loro produzioni letterarie.
Venne molto usata nei romanzi ottocenteschi, come il Conte di Montecristo di Alessandro Dumas.
Un significativo esempio di agnizione si può trovare nel VI Canto del Purgatorio di Dante Alighieri, nella scena carica di pathos dell’abbraccio tra Virgilio e Sordello da Goito, entrambi mantovani.
ANTEPRIMA
Con anteprima (o primissima) si possono definire due diversi tipi di evento nel mondo dello spettacolo.
In senso stretto, l’anteprima è una rappresentazione di un film, di un’opera teatrale, di un musical o di un altro progetto culturale simile che avviene precedentemente alla sua prima rappresentazione pubblica e che è riservata a un gruppo particolare, come ad esempio a giornalisti o a critici cinematografici o teatrali.
In senso lato la parola anteprima indica generalmente – ma impropriamente – la prima rappresentazione di un progetto culturale. Le anteprime di spettacoli teatrali, musicali o altre rappresentazioni possono diventare occasione d’affari, attraendo una larga fetta della mondanità e l’attenzione dei media. A volte, le anteprime possono comprendere delle sfilate sul tappeto rosso. Alle anteprime dei film sono spesso presenti gli attori principali che recitano in quel film. La parola francese première si riferisce a questo tipo di evento.
Le anteprime “mondiali” sono le prime rappresentazioni fatte in assoluto; quelle regionali o nazionali possono indicare la prima rappresentazione (o proiezione, nel caso di film) in un certo paese. I film a volte vengono proiettati per la prima volta durante i film festival e successivamente distribuiti alle sale cinematografiche.
In campo televisivo, la prima visione è la prima trasmissione di un programma televisivo su un certo canale; la prima visione assoluta è la prima trasmissione fatta in assoluto. Le successive trasmissioni possono avvenire in syndication e in replica.
BARCACCIA (teatro)
Nel linguaggio teatrale (riferito in particolare all’opera lirica), con il termine barcaccia ci si riferisce alla serie di palchetti posti immediatamente a lato del palcoscenico. Spesso i palchetti direttamente sul palco, che sono di dimensioni maggiori di quelli degli altri ordini, erano occupati dai regnanti che, invece di assistere alle rappresentazioni dal palco reale, preferivano ammirare gli artisti a pochi metri di distanza.
BIRIGNAO
Con il termine birignao si indica, nella terminologia teatrale, un’impostazione vocale tendente a esporre la dizione alla nasalizzazione dei suoni che rende la declamazione leziosa. Se non opportuno, il birignao inficia anche il risultato della recitazione, nella sua totalità.
Il birignao è infatti un errore nel quale spesso incorre l’attore inesperto per sottolineare, con il solo strumento vocale, un’azione drammatica: la detrazione del linguaggio del corpo, a scapito della parola drammatizzata all’eccesso, provoca spesso l’alterazione dell’insieme, che risulta artificioso o manieristico, in riferimento alla recitazione precedente il XX secolo e caratterizzata dalla figura del mattatore.
In maniera più estesa, il birignao è utilizzato per indicare certi espedienti recitativi basati sull’eccessiva impostazione artificiosa non solo della voce, ma anche del corpo, tramite cliché di largo uso, come l’aggrottare delle sopracciglia per esprimere rabbia, o il portare la mano alla fronte per indicare il pensiero, e così via.
BOCCASCENA
Il boccascena è, nel teatro, l’elemento scenico che definisce, in altezza e larghezza, l’apertura della scena dalla platea.
Incornicia la scena subito dietro il sipario.
Il Boccascena viene definito dallo scenografo, che stabilisce l’inquadratura della scena in base alla drammaturgia e in base alla larghezza dell’arcoscenico. Se per esempio ha progettato una scena che ha una apertura di 8 metri, al teatro Argentina di Roma che ha un Arcoscenico di 11,40m egli dovrà inserire appunto un boccascena costituito da due teloni o quinte laterali e un soffitto che riduca lo spazio visivo a 8 metri di base per un’altezza di 4 o più metri.
Prima del sipario, nella parte alta dell’Arco Scenico troviamo l’arlecchino mobile che è di stoffa drappeggiata; è allacciato ad uno stangone legato in graticcia. In genere copre i fari, le americane e le bilance. È mobile per potersi adattare a qualsiasi misura in altezza.
Davanti ancora, attaccato sull’arco scenico – generalmente, c’è un altro drappeggio chiamato arlecchino fisso. spesso nei teatri storici c’è lo stemma della città o del Teatro stesso.
Il Boccascena, delimita lo spazio visivo della scena, è una riquadratura. è composta lateralmente, destra-sinistra, da due quinte, due Telettoni o due telai (quinte armate) o due torrette metalliche con ruote, facilmente spostabili, foderate di stoffa, con bracci per sorreggere i riflettori. In alto da un soffitto o cielo realizzato come le quinte che alza o abbassa la visione in altezza.
Il boccascena è un elemento scenico che posto dietro al sipario (dove questo è previsto), e, in tutti i teatri a norma antincendio, dal tagliafuoco, sipario metallico che (introdotto per motivi di sicurezza) a volte viene utilizzato come elemento scenico.
La parte di palcoscenico che si spinge in avanti il boccascena, verso la platea, viene denominata proscenio.
BRONTEION
Il Bronteion era una macchina scenica utilizzata nel teatro greco.
Il Bronteion era la “macchina per produrre i tuoni”, introdotta nel periodo ellenistico. Era costituita da un vaso di rame o da un recipiente di bronzo contenente alcune pietre: il suo movimento produceva un rumore che ravvisava quello dei tuoni. Il suo utilizzo serviva ad accompagnare l’ingresso di un dio o a sottolineare un avvenimento rimarchevole, o semplicemente ad indicare una tempesta o un cambiamento climatico in peggio. Era spesso utilizzata con il keraunoskopeion, che invece serviva a riprodurre i fulmini. Non se ne conosce la precisa ubicazione nel teatro greco. Dalla radice semantica deriverà il brontolio.
CANOVACCIO
Con il termine canovaccio o scenario si indica un particolare testo teatrale che riassume la storia e la divide in scene di cui indica i personaggi e i fatti, ma non le battute. Le battute, infatti, sono improvvisate dagli attori direttamente sulla scena, quindi possono variare di volta in volta.
In modo particolare nella commedia dell’arte il canovaccio forniva la traccia sulla quale si sviluppava l’improvvisazione teatrale degli attori. Ampie raccolte di canovacci della commedia dell’arte sono giunte fino a noi, pubblicate nel corso del ‘600 e del ‘700. Nella più estesa bibliografia sulla Commedia dell’Arte, compilata da T. F. Heck, Commedia dell’Arte. A Guide to the Primary and Secondary Literature, Garland Publishing, New York – London 1988, sono censiti 820 titoli di scenari [1]. Della stessa opera potevano esistere canovacci diversi, ognuno dei quali indicava la trama da seguire ed i punti essenziali a seconda del pubblico davanti al quale si recitava. La trama del canovaccio descriveva infatti in maniera molto sintetica la successione delle scene e l’intreccio delle vicende, con la sequenza delle entrate e delle uscite dei personaggi, fornendo una sorta di promemoria per il lavoro d’improvvisazione degli attori [2]
I comici dell’arte erano soliti possedere un vasto bagaglio di canovacci, adatti alle loro potenzialità, da sfruttare al momento della rappresentazione scenica. Nel corso della rappresentazione, gli attori interpolavano nella trama del canovaccio i lazzi, dialoghi e scenette comiche ben collaudate che facevano parte del loro personale repertorio.
Con la definitiva affermazione del dramma scritto, tuttavia, il canovaccio non è scomparso e generi spettacolari, che hanno caratteristiche autonome rispetto alla drammatizzazione scritta, hanno mantenuto tale particolarità: basti pensare al varietà, dove l’improvvisazione ha una parte fondamentale nell’esecuzione della rappresentazione o, in misura minore, al one-man show.
CANTINELLA
La cantinella è un’asta di legno di abete giovane, spessa 2,5 cm, larga 5 cm e lunga 4 metri. Fa parte della normale dotazione di tutti i palcoscenici. È utilizzata in teatro con molteplici finalità volte all’allestimento scenico di uno spettacolo.
Adeguatamente segata può essere utilizzata per armare quinte, fondali, scenografie, per costruire telai, ecc.; è il materiale di base di quasi tutte le costruzioni scenografiche. Opportunamente gettata al suolo può simulare rumori di tonfo o di sparo. Piccoli spezzoni di cantinella, utili in moltissime situazioni, si chiamano schiacciole. Assemblando le cantinelle attraverso un metodo di giuntura chiamato abbiettatura, si possono costruire gli stangoni di lunghezze e spessori variabili, necessari a sostenere fondali o quinte o cieli; oppure vi si possono appendere luci e riflettori, in questo caso si chiamano americane.