Autrice e regia: Elide Giordanengo
Nella storia del mondo accade, (ne sono testimonianza le guerre in atto) in modo ricorrente che qualcun altro decida chi sei, dove devi stare.
Ha deciso di odiarti.
Quando qualcuno inizia a disprezzare chi sei.
Quando qualcuno ti guarda con indifferenza.
Quando qualcuno decide che per te la parola tolleranza non ha senso.
Quando qualcuno decide che tu non devi più sperare…
Quando qualcuno decide che tu sei un numero.
Io non sono un numero. Io sono una persona. Sono nato libero, appartengo a me stesso. Ti prego guardami, io sono una persona.”
Ecco il perché del titolo dello spettacolo, uno spettacolo nato dall’intento di commemorare coloro che 80 anni fa, sì, solo ottanta anni fa, sono stati deportati per essere uccisi. Ebbene, solo ottanta anni dopo, è necessario rileggere e ripetere le parole di Hetty Hillesum, ebrea olandese deportata ad Auschwitz nel 1943 dove morrà all’età di 29 anni: “Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima
sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile.”
È stato drammaticamente vero per il popolo ebraico, che ha dovuto subire pregiudizi e persecuzioni che hanno portato all’olocausto. I 6 milioni di vittime persero la propria identità, diventando solamente un numero . È drammaticamente vero, alla luce dell’indifferenza, del nostro cinismo nei confronti di coloro che abbandonano la propria terra per guerre e fame, in cerca di un futuro migliore. Non
ci interessano, ci infastidiscono. E, se ci capita di provare una qualche forma di empatia, subito la anestetizziamo con il rumore della quotidianità.
Pur essendo tutti immersi in un numero imprecisato di stimoli, di rumori, di parole, spesso si è privi di ciò di cui si avrebbe davvero bisogno: qualcuno in grado di ascoltare in silenzio, senza pregiudizio. Se non riusciremo a riconoscere in noi il male che ci abita, se continueremo a crederci al di sopra delle nostre passioni, alimenteremo un meccanismo che ci permetterà di non sentirci mai responsabili o
in colpa, perché il nemico sarà sempre fuori di noi. Ricordare l’Olocausto, la Shoah, salvarli dall’oblio – dice Liliana Segre – non significa soltanto saldare un debito storico verso quei nostri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione di indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano.